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Libro L'ALTOPIANO RITROVATO - di Pozzato, Dal Molin, Corà con foto di Zambon

Storia

L'Altopiano Ritrovato - L'Altopiano dei Sette Comuni

La memoria storica fotografica L'ALTOPIANO RITROVATO di Paolo Pozzato, Ruggero Dal Molin, Vittorio Corà con le foto di Francesco Zambon

  • Titolo L'Altopiano Ritrovato
  • Sottotitolo L'Altopiano dei Sette Comuni nelle immagini inedite dell'archivio Francesco Zambon
  • Pagine 210
  • Prezzo di copertina € 35,00
  • Casa Editrice Itinera Progetti
  • Autore/i Paolo Pozzato (Autore), Ruggero Dal Molin (Autore), Vittorio Corà (Autore), Francesco Zambon (Foto)
  • Data Pubblicazione N/A
  • ISBN 10 8888542434
  • ISBN 13 978-8888542430
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Se oggi Asiago e l'Altopiano dei Sette Comuni rappresentano comunque un patrimonio importante del turismo veneto e nazionale, a metà degli anni '30, risorto dalle sue macerie, il centro principale della montagna vicentina costituiva un'autentica "capitale" tanto del turismo estivo quanto di quello invernale.

Lo straordinario fiorire di attività e proposte, dallo sci vero e proprio, alle prime partite di hockey su ghiaccio, dai vertiginosi salti sul trampolino di Gallio alla "gran fondo" dei campi di battaglia a garantire un numero di presenze sempre molto alto. Questo turismo degli anni '30, con i suoi tratti oggi quasi suggestivi, sullo sfondo dell'orgoglio spesso ostentato del regime rivive con un vigore straordinario nelle immagini catturate dall'obiettivo di Francesco Zambon.

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I – L’ALTOPIANO E LA MEMORIA

Sull’Altopiano si era combattuto dal primo all’ultimo giorno di guerra, dal momento in cui Antonio Monti nel suo “Dalle trincee alle retrovie” ricordava l’esplosione dei primi colpi dai cannoni da 149 mm del Verena echeggiare nell’umida nottata dei boschi di Mandrielle, a quando Arturo Stan-Ghellini condivideva – con gli ormai ex-nemici – qualche ora di sonno dell’alba del 4 novembre 1918 in una lurida baracca di Bocchetta Portule. Sull’Altopiano avevano combattuto quasi tutti i belligeranti: austriaci, ungheresi, sloveni, bosniaci, inglesi, francesi nonché gli appartenenti a pressoché ogni regione italiana.

In un certo senso l’Altopiano stesso veniva quasi naturalmente a costituire un sacrario di ricordi dolorosi, un enorme cenotafio silente, custode della memoria di avvenimenti che avrebbero dovuto costituire un monito per le generazioni future. Il percorso della memoria italiana fu segnato, forse in modo ancor più marcato, dall’evolversi della storia. Alla pietà dei commilitoni delle sepolture di fortuna a poca distanza dalla linea, si erano sostituiti i grandi cimiteri militari degli anni ’20.

Erano i cimiteri rievocati da Mario Rigoni-Stern nei suoi ricordi di bambino e di adolescente, con i piccoli lumi che anticipavano a novembre le notti fredde di un Natale, che nessuna luce e nessun fuoco avrebbero comunque ravvivato. Sono le stesse costruzioni volute dalla pietà umana che C.D. Bonomo aveva immortalato con l’obiettivo del suo apparecchio fotografico nel volume, Visioni di Gloria, edito nel 1924 e che Claudio Rigon e Mauro Passarin hanno rivisitato con straordinaria suggestione in anni più recenti.  A metà del decennio successivo era arrivato il sacrario. Il quadruplice arco di trionfo impostato sull’ara del sacrifico, a sua volta eretta sopra la cappella delle medaglie d’oro, il tutto posto alla sommità della collina del Leiten divenivano gli elementi di quella che Mario Isnenghi ha giustamente definito una “sequenza narrativa”, destinata ad imporsi con forza nell’immaginario del più distratto dei visitatori, almeno di quel periodo.

Ossario di Asiago Le immagini fissate sulla pellicola da Zambon sembrano scandire presenze, messaggi, persino le assenze. Il sacrario gremito di truppe, il tributo doveroso e scontato alle autorità, le simbologie religiose e le insegne di regime trovano così il contrappunto della solitudine, o meglio delle solitudini. L’attenzione del fotografo sembra peraltro più attratta dalla malinconia: quella di un’auto isolata presso una catasta di tronchi, tagliati finalmente per costruire e non per distruggere, o ancor più quella del passante isolato, che non volge nemmeno lo sguardo al cimitero che costeggia, per un eccesso di pudore, non certo per la trascurata distrazione di oggi.

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II – L’ALTOPIANO E LA GRANDE GUERRA

Ad ormai cent’anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale non si può ignorare che il tornare sui luoghi dove tante giovani vite, italiane ed austro-ungariche, erano state sacrificate è uno dei pochi modi certi per conservarne il ricordo, per “non dimenticare”, l’entità ed il senso di un sacrificio. La sola vera ingiuria nei confronti di chi morì allora è passare oggi sugli stessi luoghi con la distrazione del turista che non ha nulla da imparare, che ignora persino le dimensioni della sua superficialità. Se oggi si è voluto trasformare l’Ortigara, lo Zebio, il Cengio in musei all’aperto non è certo per rincorrere la logica di un “parco divertimenti della storia”, tanto meno per allontanare il visitatore dalla “pietas” che portò nei decenni del primo dopoguerra a realizzare pochi, significativi monumenti.

Ai Campi di Battaglia in PulmanSi è piuttosto voluto ribadire che una memoria autentica non è mai paga di sé, che non si accontenta delle chimere del verosimile e del convincente, ma insegue, tenace ed inesausta, le piste difficili e non di rado deludenti della verità. Lungo quelle stesse piste sembrano portarci anche le istantanee dell’autore. Non c’è infatti nulla di “impostato”, nulla di retorico nelle comitive di amici che sostano presso una malga, consumano i viveri al sacco all’interno dei ruderi del Forte Lisser, che si raccolgono di fronte a Cima Dodici; non si avverte in questa spensieratezza nulla di offensivo; non vi è alcuna mancanza di rispetto per i frangenti che resero gli stessi luoghi teatro di morte e di sofferenza. Non a caso, forse l’estate successiva, se non quella precedente, lo stesso obiettivo fissa il ricordo dell’escursionista chino sulla colonna mozza dell’Ortigara mentre porge un doveroso saluto ai caduti.

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III – L’ALTOPIANO E GLI SPORT INVERNALI

Abbiamo visto come per Francesco Zambon sia indispensabile restituire la montagna al grande pubblico, come nell’afflusso dei turisti ad Asiago egli veda tutto fuorché un’invasione indebita di spazi e dimensioni altrui. Le immagini, che non si esagera a definire poetiche, del trenino che avanza nella neve o quelle, indubbiamente più prosaiche ma non certo meno significative, della fila di torpedoni davanti al Leiten sono indicative di uno sguardo che coglie tutte le difficoltà tecniche che vanno superate, ma al contempo sa notare tutte le opportunità che esse racchiudono, per i fruitori come per gli abitanti. Asiago è ai suoi occhi, e deve diventare con sempre maggiore consapevolezza, la capitale dell’inverno veneto. Per Zambon la neve invernale è il campo di azione dell’escursionista, custode e mentore dei campi di battaglia, ma è al contempo il terreno per gare di fondo e di discesa, per salti dal trampolino e sfide di biathlon, per competizioni sportive e partite di hockey.

All'Uscita della Stazione di Asiago con gli SciCerto non immaginava che nel XXI secolo il team asiaghese si sarebbe fregiato del secondo scudetto consecutivo, il terzo della sua storia, ma credeva indubbiamente nella forza di attrazione di uno sport sul quale non molti avrebbero scommesso allora. La neve è poi anche il campo per un nuovo rapporto fra i sessi. Le inquadrature delle donne sciatrici, piuttosto di quelle impegnate al tiro con l’arco, vanno infatti ben oltre l’ambientazione degli anni ’30 e prefigurano piuttosto la realtà odierna, con un’Italia sportiva al femminile che non ha ormai nulla da invidiare alla controparte maschile, quando non la supera ampiamente nei risultati. Su tutto domina – una volta di più – il peso della concretezza, il senso della fattibilità immediata, dell’occasione da cogliere subito e non in un ipotetico futuro.

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IV – L’AEROPORTO ROMEO SARTORI DI ASIAGO

È naturale che il responsabile dell’aeroscalo di Vicenza includesse nella sua visione del turismo in Altopiano anche l’aeroporto. Tanto più che proprio ad Asiago il regime aveva voluto istituire nel 1936 la Prima Scuola di Volo Veleggiato in Italia e proprio ad Asiago e all’Altopiano nel 1940 Giogio Ferroni dedicherà uno dei suoi film: “L’Ebbrezza del Cielo”, che verrà proiettato in tutte le sale d’Italia. Così nella seconda metà degli anni ’30, grazie al fondamentale contributo della R.U.N.A., l’equivalente dell’attuale Aeroclub d’Italia, Zambon poteva riunire sulla vecchia pista del primo conflitto mondiale alcuni dei velivoli da turismo – ma non privi di interesse anche per l’Aviazione militare – prodotti dall’industria nazionale. Nella serie di istantanee scattate davanti agli hangar o nelle acrobazie effettuate sullo sfondo dell’Interrotto e del Bi si riconoscono infatti il Fiat G 8 CHASA, il cui prototipo aveva volato nel 1934, ed il Breda Ba 39 che si era alzato in aria per la prima volta nel settembre 1932.

Aliante ad AsiagoNon manca nemmeno, e sarebbe stato difficile, la rivendicazione del nuovo ruolo della donna, non più semplice spettatrice sognante delle imprese dei cavalieri dell’aria, ma splendido meccanico-pilota in tuta bianca, che posa davanti al motore del suo Fiat.
Ciò nonostante si sfugge a fatica, guardandole, ad un senso di malinconia, soprattutto se si passa oggi a fianco di un aeroporto troppo spesso desolatamente vuoto, un aeroporto ed una pista che sembrano giustificati solo dal verde che li circonda e che paiono comunque ben decisi a difendersi contro tutto e contro tutti.

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V – IL TRENINO ASIAGO - ROCCHETTE

I piccoli convogli a cremagliera della ferrovia Rocchette - Asiago che, inaugurata nel febbraio 1910, era stata allora salutata come un fattore decisivo per lo sviluppo economico e turistico di Asiago e dell’Altopiano, sono irrimediabilmente scomparsi. Quella linea ferrata che durante la Prima Guerra Mondiale aveva rifornito le truppe dell’Altopiano e che il comando della 1ª Armata aveva progettato di estendere fino al Ghertele, si è trasformata oggi nell’itinerario riservato alle passeggiate dei turisti meno avventurosi o alle escursioni dei bikers. A chi ancor oggi sogna ad occhi aperti di veder ricomparire lo sbuffo impertinente della vaporiera oltre i boschi di Campiello, a chi rimpiange la preferenza accordata a suo tempo alle autocorriere, a chi infine pensa – più prosaicamente – a quale attrattiva rappresenterebbe oggi anche solo una salita settimanale sulla vecchia cremagliera non resta che affidarsi alle istantanee di Zambon.

Trenino la stazione di Asiago in estateIn esse non rivive solo un mezzo di trasporto, pur con tutto il suo fascino de-modé, rivive un intero mondo, un mondo scomparso ed irripetibile. È un mondo in cui anche il viaggio, lungi dal racchiudere lo stress dell’attesa o della noia, costituiva parte integrante di quella domenica dedicata all’Altopiano ed alla sua neve. Come durante le sue escursioni sul Portule o l’Ortigara, del passaggio dell’uomo e dei suoi mezzi – poco conta siano gli sci o la ruota dentata del locomotore – rimangono spesso soltanto le tracce. Nello sbuffo di trionfo della locomotiva finalmente giunta alla stazione di Asiago, dopo tanto arrancare, sembra di risentire i latrati di Alba e Franco nella magia irripetibile del “bosco degli urogallidi Mario Rigoni Stern. Non resta che chiudere gli occhi ed affidarsi alla tentazione del “C’era una volta…”.

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VI – L'AUTORE DELLE FOTO FRANCESCO ZAMBON

Nato a Thiene il 16 agosto 1901, appena un anno più tardi dell’ultima classe chiamata alle armi nel corso del primo conflitto mondiale, Zambon sembra predestinato già nel giorno e nel mese di nascita a dedicare la sua vita alle “vacanze”, soprattutto a quelle altrui. Il giovane Zambon, che nel 1927 passa alla Camera di commercio di Vicenza, per diventare tre anni dopo direttore dell’ufficio turistico provinciale, non ha alcuna vocazione per la vita tranquilla del travet. Anche perché intuisce che proprio la vocazione quasi naturalmente turistica di Vicenza e della sua provincia, in particolare della sua zona montana, possono giocare un ruolo decisivo nel rilancio di una delle regioni che hanno maggiormente scontato la partecipazione al conflitto. Dotato di una straordinaria capacità organizzativa, che metterà a frutto dieci anni dopo da ufficiale addetto al commissariato militare del C.S.I.R., il primitivo nucleo delle nostre forze operanti in Russia, giornalista e fotografo di assoluto spessore, realizzatore fra i primi di documentari cinematografici spesso premiati alle mostre internazionali del cinema, Zambon mette queste doti a servizio della sua provincia.

Sono certamente dei primi anni ’30 le foto dei torpedoni che arrancano sulla strada che porta a Piazzale Lozze, della fase centrale del decennio la serie di immagini che seguono la nascita del Sacrario, sul colle del Leiten, fino al giorno ed alla cerimonia imponente della sua inaugurazione.  È però alla fine degli anni ’30, quando ormai Asiago e l’Altopiano sono rinati dalle proprie rovine, che essi divengono per l’obiettivo della sua macchina fotografica, come per chi oggi rivede i suoi scatti, le indiscusse capitali del turismo vicentino. Può sembrare persino incredibile, sfogliando oggi le istantanee di Zambon, che sui prati a nord della città di Asiago fosse possibile raccogliere tanti aerei e tanti piloti, non esclusa qualche splendida figura femminile in immacolata tuta di volo bianca.

Municipio di AsiagoCon lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale le incursioni aeree alleate su Vicenza lo vedono quindi impegnato a sottrarre alle bombe, le scene scamozziane e le statue dell’Olimpico, gli affreschi del Tiepolo a Villa Valmarana e le vetrate del tempio di Santa Corona. Le vicende del dopoguerra lo porteranno però lontano. Nel 1952, infatti, il thienese che aveva eretto Vicenza a sua residenza e Venezia a sua città ideale diventa infatti presidente dell’ente di promozione turistica di Siena. Ritornerà in Veneto nel 1958, come direttore dell’ente turismo di Padova. Ritiratosi infine dalla vita pubblica continuerà a dedicarsi alla valorizzazione del territorio del vicentino senza ricevere mai, in verità, un vero riconoscimento per il lavoro svolto.

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Questo libro vuole quindi essere non solo una storia, guidata dalla forza evocativa delle immagini, dell’Altopiano dei Sette Comuni negli anni ’30 e ’40, ma anche un doveroso tributo ad un uomo che ha dedicato gran parte della vita allo sviluppo, non solo turistico, della montagna veneta per la quale, forse, solo Gianni Pieropan, in anni più recenti, ha fatto altrettanto per la valorizzazione della sua storia e delle vicende belliche.

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